Una pratica 'politica' contro il realismo

di Aldo Sacconi

scrittore

Lo stile dell'artista é astratto e informale, con opere che fanno riferimento a ben identificabili argomenti figurativi con i quali il quadro si lega in maniera ipotattica, a volte come metafora linguistica, o con ambigua analogia.

Il 'campo' ad esempio fa riferimento ai luoghi di prigionia e genocidio o in alternativa a citazioni postmoderne di brani pittorici della storia dell'arte. Non un semplice d'après, comune a molti artisti come Picasso ad esempio ma una pratica politica contro la cultura del realismo e della descrizione messa in campo dalla vuota attualità. Molti gli argomenti trattati: da eventi storici a ricordi personali passando per originali interpretazioni pittoriche. Desta stupore in qualche caso l'accostamento a quadri o artisti della storia come Monet (Ricordo di una mostra di Monet, olio su tela, 2021) in cui trasfigura -come succede nelle opere letterarie- la realtà non per il tramite della 'descrizione', ma con forme e colori, spesso in aperta antitesi con le ovvie analogie al modello prodotte dal feticismo della cultura di massa, priva di 'sinestesia' con la quale operano invece i grandi artisti. Così delle erbacce ai margini della strada diventano una 'Apologia di erbacce' o uno scarabocchio si scoprirà non sia altro che della 'Paglia sacra' forse riferita al pagliericcio della mangiatoia del presepe di Greccio. Quindi al titolo viene restituita centralità nell'opera, come avviene nell'arte contemporanea. Tutto nell'ammirazione di una gestualità irrequieta e lirica al tempo stesso, tale che la pittura di Tedeschini si rivela un documento autobiografico che lacera il presente con la propria esperienza senza soffermarsi sull'accademismo e le obsolescenti etichette stilistiche che allontanerebbero la sua opera dal suo vero senso. È questo un grande artista? Sicuramente uno a cui non piace l'immediata comprensibilità del realismo comune che fa rima spesso con la 'pancia' di un Paese la cui storia ci ricorda qualcosa.


Il gesto estetico e il segno primordiale
Un incontro con le operae novae di Davide Tedeschini.

di Davide Miceli

curatore


L'arte è un'esperienza visiva. Maieutica di pensieri ed emozioni, generativa di gesti. Nell'approcciarsi a un'opera si apre gradatamente un bouquet d'altri sensi che si attivano inconsciamente e ravvivano la radice umana dell'incontro con la bellezza.
C'è un momento quello dell'incontro tra l'opera e lo sguardo in cui l'aspettativa si fonde con la realtà per poi confondersi e generare infinite nuove interazioni.
La prima possibile è quella tra le forme archetipali presenti nella nostra mente e ciò che l'artista ha impresso sulla tela.
Una memoria storica iscritta nel patrimonio inconscio dell'uomo e il gesto dell'artista, atto umano qualificato dalla volontà di produrre un segno.
Dentro questa cornice l'antologia di operae novae proposte da Davide Tedeschini si pone in un dialogo semantico tra passato e presente, tra memoria e attualità, tra inconscio e coscienza.
Far esperienza della sua opera significa correre il rischio di un processo sempre attivo di confronto tra forme dialettiche distanti e distinte ma sempre comunicanti.
Il gesto atavico, fenomenico e il noumeno incorporato nella nostra intelligibilità del mondo.
Un gesto estetico che affonda nel segno primordiale la sua morfologia.
Talvolta espresso talaltra velato, mediato ma sempre istintuale. A un tempo meditato e immediato. Meditato perché la mente con la sua velocità immagina di contemplarlo ma immediato perché la mano esegue libera la sua creatività incontrando la porosità della tela e la vischiosità del colore.
Ecco che nella pittura di Davide Tedeschini il dialogo tra uomo e natura si coglie sfumato come in Quercia ove all'albero si frappone il tronco di una carcassa del quale rimangono le costole.
O come nel Campo di grano dove ai robusti steli di cereali si possono accostare dardi primordiali piantati nel suolo. Anche dove il tema può apparire presente il gesto è antico, originario (io guarderei anche alla metafora del campo come 'lager' e alla moltitudine come 'popolo' visto che dopo i genocidi degli anni 30 c'é sempre questa eredità mesta nell'Europa e nel Mediterraneo. Uccelli/migranti, spighe/dardi/stanzialitá etc... n.d.r.)
Un viaggio contemporaneo nel tempo più giovane dell'umanità, quando l'arte muoveva i primi passi. Mostrando come il processo artistico sempre in continua evoluzione non dimentica tali origini .
Il movente è immutato. Lasciare un segno, raccontare, sporcarsi le mani e ispirare chi incontrerà quelle tracce.
A ben guardare Davide Tedeschini, artista eclettico e capace di sorprendere, segue la rotta dell'arte nel tempo, con un viaggio che passa dal corpo alla natura, dall'uomo alle altre forme del vivente senza mai dimenticare l'alfabeto delle emozioni che ciascuno di noi ha iscritto dentro dai suoi primi passi su questo mondo.
La pittura è una risposta possibile a due delle domande esistenziali che da sempre accompagnano l'umanità: chi siamo? Dove stiamo andando?
Siamo gli autori di quei segni, ci accompagnano le stesse paure, le stesse speranze. Stiamo muovendo verso un futuro di cui possiamo fare solo previsioni.
Non abbiamo certezze consolidate. Solo convinzioni. In una società a complessità elevata, in cui il linguaggio ha accresciuto gli orizzonti e la comunicazione si è fatta più difficile, la semplicità dei segni artistici di Davide Tedeschini sembra poter rassicurare: tratti universali, segni comprensibili nella Babele dell'ipercomunicazione.
Interrompono il flusso, ci permettono di andare avanti più spediti. E intanto inducono una riflessione veloce e non scontata: sappiamo ancora guardare?
La risposta è l'interrogativo che rimane aperto alla scelta del fruitore.
L'arte ha una funzione estetica e una sociale.
La bellezza e la comunità. Il gusto e l'incontro. Condivisione, dialogo, riconoscimento. Attiva processi continui.
Il percorso è lungo e segnato da vari step, da continue scelte, da sempre possibili occasioni: servono occhi, mente e cuore.

In fondo ogni volta che il giorno finisce si vuole solo tornare al proprio rassicurante riparo e, come in Strada per casa, ogni particolare, ogni segnale ci riconduce al nostro rifugio originario: ieri una caverna, oggi una abitazione in cui le opere d'arte possono ricordarci questo percorso.

La sostanza in un mondo caotico

La pittura di Davide Tedeschini

testo di Emanuela Muccigrosso

storico dell'arte


La pittura di Davide Tedeschini rappresenta un'occasione per affrontare l'arte contemporanea non solo nel suo prodotto finale, ossia il quadro, ma soprattutto nel suo palesarsi delle esperienze biografiche, nello stratificarsi nel corso degli anni. Tanto è forte l'impatto estetico che ad una lettura immediata potremmo dare una definizione di 'brutale', che evoca le esperienze recenti tipiche dell'Art Brut. Ricorda la pittura 'selvaggia' e per questo può far venire in mente le correnti dell'espressionismo francese e tedesco, ma bisogna annettere tra le influenze anche il gruppo europeo CO.BR.A, in modo particolare la figura e le opere di Jorn, in cui abbiamo una totale libertà espressiva e colori enfatizzati dalla corposità della pennellata. Di professione insegnante, si è occupato anche di giornalismo e scrittura, scrivendo alcuni saggi sull'attualità dell'ambiente artistico e forse è in questo caso che troviamo alcune chiavi di lettura di questa pittura che difficilmente trova riferimenti in quelle esperienze pittoriche contemporanee ricche di figurazione o addirittura citazionismo e manierismo antiquariale, che all'occhio esperto appaiono come prodotti di mercato rispetto alla pittura in questione. Ecco perché ad essere onesti, questa pittura non si può comprendere con il semplice accostamento o con la scoperta di riferimenti della pittura o dell'arte ormai storicizzata ma più semplicemente, è qualcosa che trova al momento una sua originalità intrinseca. L'accostamento del mondo di oggi a quello dell'Europa anni '30 non è però pertinente per un artista che non si è mai lasciato sedurre dalle proposte di vendita commerciale. Della ventina di opere del 2018, quattordici sono tavole enormi, dai colori caldi ma intensi, comunicativi. Caratterizzati anche da temi e intenzioni rappresentative differenti gli uni dagli altri. Si passa dal materico, alla violenza coloristica forse dell'Art Brut, al sintetismo fino ad arrivare all'astratto. Il tutto accade gradualmente, senza spaventare l'osservatore, quasi a ricreare una sfumatura del suo cambiamento stilistico nel corso degli anni. Ci permette di entrare nella sua quotidianità, nel suo tormentato passato e nei paesaggi pesantemente accennati da grossi tratti di colore, come nel caso di "Villaggio in fondo alla valle", mostrano l'uso delle mani nello stendere il colore. Un colore spesso e denso che acquista significato introspettivo riferenti alla morte e ai vissuti del passato, nella "Carcassa", in cui sono presenti ossa in primo piano e nella penombra due scure figure. Il trio "Natura morta con cardi", "Lavoro nei campi" e "Tavola imbandita" rappresenta invece un insieme caotico di elementi, di fatto l'Horror vacui di questo gruppo. Dalla mania quasi ossessiva di riprodurre quante più forme possibili, si passa alla sintetizzazione quasi totale sia della forma che del colore di "Gabbiani", "Lattuga" e "Campi di grano". Il sintetismo di queste tavole rispetto alle precedenti colpisce tanto quanto l'effetto di vista ravvicinata degli elementi raffigurati, come se l'artista dipingesse attraverso una lente d'ingrandimento. Molteplici sono gli elementi astratti. Nella "Casa in riva al mare" non abbiamo che brevi pennellate che solo nelle tonalità ci riportano al titolo del dipinto, ma è nelle due tavole intitolate "Libertà" e "Europa" l'astrattismo riesce ad emergere nei suoi tecnicismi. Guardando le due opere, la cui caratteristica principale è l'accostamento frenetico di macchie dense di colore, non si può non ricordare i primissimi esordi del successo di KandinskiJ. L'artista romano ha fatto un percorso, un percorso che lo ha portato al raggiungimento di una linea di confine tra il figurativo e l'astratto, con un particolare accorgimento al minimalismo nelle enormi tre tele che costituiscono il punto di forza di tutta la collezione. Lo vediamo più in "Campo di grano" e "Gabbiani" piuttosto che in "Quercia", in cui continua il lavoro di sintesi delle opere a colori e ci regala un effetto di ulteriore ampliamento di visione dell' oggetto in questione. Tuttavia un maggiore contributo evolutivo del suo stile è l'uso bicromatico del bianco e nero. Si avvicina a Franz Kline che dipinge il bianco e il nero dando risalto all'astrazione della linea, disinteressandosi alla forma, a Keith Haring, che nella body art black & white ha dato esempio rappresentativo di primitivismo tecnico. Ma sono le espressioni contemporanee che a me interessano: nella Biennale di Venezia del 2017, i padiglioni dell'Argentina, dell'Italia, della Russia, hanno utilizzato il bianco come forma di espressione forte ed efficace. Il padiglione del Messico invece attraverso il contrasto di queste due basiche tonalità ha creato un nuovo linguaggio. Abbiamo una forma, la percepiamo, la capiamo, ma è ridotta all'estrema essenzialità. Come se dovessimo osservare la sostanza, l'essenzialità delle cose, degli elementi, in questo caso della natura. Un ritorno alla primordialità dell'arte. Il bianco della tela è il supporto contemporaneo alternativo alla parete della caverna, il nero è la materia attraverso la quale imprimere un'idea di ciò che arriva alla mente dell'artista. Ed è proprio la pittura primordiale l'obiettivo primario di Tedeschini. L'arrivo alla totale astrazione può essere tradotto nella ricerca dell'infantile e spontaneo tratto pittorico. Il pittore desidera recuperare l'immediata comunicabilità della semplicità terminando un percorso che lo ha portato ad ispirarsi molto spesso alle avanguardie novecentesche, puntando in concretamente all'astrazione, ma al tempo stesso lo fa in modo personale e originale.

Una trilogia per l'Europa

I tre volumi scritti da Davide Tedeschini editi da Pagine per la collana I libri del Borghese. Il Futurismo del terzo millennio é stato scritto con l'artista Graziano Cecchini.


di Aldo Sacconi


Mi piace pensare a questa opera letteraria come parafrasi dei film Rosso, Bianco e Blu, l'opera cinematografica di kristof Kieslowsky, la fortunata triologia dedicata alla nascita dell'Unione Europea, piuttosto che riprendere il concetto di una trilogia del 'dissenso', così come viene spesso presentata. Stiamo parlando della trilogia -ossia dei tre volumi pubblicati in sequenza cronologica e contenutistica a formare un unicum- di Davide Tedeschini, scrittore tuttavia nuovo nel panorama letterario italiano, e di cui si hanno poche notizie fuorchè quelle reperibili in rete che lo descrivono come insegnante, artista o gallerista. Ma a prescindere da questi scarni e conradditori suggerimenti probabilmente legati al suo vivere nel caotico hinterland romano, è stato il primo a chiedere nel 2013: 'Sovranitá nei musei' nel primo tomo della sua trilogia: "Senza Arte né parte"sott. percorsi d'attualità, tra musei, storia e società, andandosi a ritagliare uno spazio nei cataloghi dei Libri del Borghese, editore conosciuto per il famoso periodico fondato da Guareschi nell'immediato dopoguerra e rilevato da Pagine qualche anno fa. Noto per la critica politica, l'editore romano ha curato da poco per lo stesso autore il "Futurismo del terzo millennio, conversazioni con Graziano Cecchini", scritto a quattro mani con il famoso artista che ha tinto di rosso la Fontana di Trevi in una performance poi ripetuta lanciando -anziché pigmento- mezzo milione di palline colorate dalla scalinata di Trinità de Monti. L'anno precedente invece, Tedeschini -sempre con lo stesso editore- si propose sui giornali con 'Ridateci la Gioconda' sott. L'Arte italiana e l'Europa unita, altro titolo dedicato all'arte in parte costituito da articoli, pubblicati in rete, riguardanti le politiche culturali e le sue declinazioni sociali e antropologiche.

Ció che emerge dalla lettura di questi testi -spesso veloce e interessante- é il profondo malessere che nutre la generazione dei giovani degli anni 90, costituita da chi guardava positivamente una certa stagione politica e culturale: l'avvento del privato nella cultura nell'istruzione e nei musei, il succedersi dei governi Berlusconi, gli scandali successivi e il naufragio odierno di tutte le relative aspettative, sotto i colpi del rigore dell'Unione Europea o dei governi di incerta collocazione politica.

Il malessere che ne deriva può trovare spiegazione solo grazie ad analisi politiche, estetiche e sociali, percui si delinea come: "Il malessere dell'uomo occidentale: il complesso di colpa nei confronti delle vittime dell'Apartheid, della ghettizzazione, delle leggi razziali, di tutte le atrocità commesse nella storia e anche di più" (Davide Tedeschini, "Ridateci la Gioconda", Sott. - l'arte italiana e l'Europa unita. Edito da I libri del Borghese. Prefazione di Vittorio Bonacci, Pagine 136 - 2014 Roma). Così inizia il primo dei tanti capitoli del secondo volume, dedicato ai premi Nobel per la letteratura John Maxwell Coetzee e a Gunter Grass, presi a spunto per analizzare la complessa situazione della società occidentale. Altrettanto diretto si rivela nel suo: 'Cultura e destra, le ragioni di un disastro': "in questi prodotti giornalistici dell'area culturale di destra c'é una carenza di fondo che attinge alla psicologia-psicanalisi, quella psicanalisi la cui società aveva trovato grosse difficoltà d'esistere negli anni 30, perennemente fuori dal movimento psicanalitico internazionale" (in idem): La presa di posizione netta e senza compromessi. Nei primi due libri c'é una dichiarata narrazione dei disastri del mondo culturale attuale, solo nell'ultimo con l'ausilio dell'artista Cecchini vengono fatte le proposte per risolvere quindi i mali descritti. Come si intuisce dal titolo del terzo volume, la soluzione ai problemi del nostro tempo é ovviamente la capacitá di andare oltre etichette spesso abusate come quella di 'Arte Contemporanea' , sotto le quali si celano vere e proprie opere di Futurismo 'mai morto' -come recita uno dei capitoli- in quanto 'il Futurismo é sacro'. Sembrerà opportuno in tal caso specificare il ricorso sovente ai paradossi e alla retorica propri della letteratura degli autori del mondo dell'arte, quando utilizza oggetti e materiali che fanno parte della nostra tradizione rinascimentale, e a cui Cecchini vorrebbe ricondursi, dichiarando che il 'Giudizio universale' in quanto presentissimo ovunque e su internet non può che essere un'opera futurista ossia, d'arte contemporanea, così come il David di Michelangelo. Va citato in tal caso anche l'interessante sguardo posto da Tedeschini al problema del rimpatrio dei patrimoni culturali che nel corso degli anni sono stati sottratti ai loro luoghi di origine. Il caso della Gioconda non è però legato a una sua sottrazione abusiva -come nel caso dei fregi del Partenone- ma semplicemente sebbene portata dallo stesso Leonardo a Parigi: "Non sta bene lì dove si trova, in quanto non ha senso che un'opera fiorentina si trovi a Parigi, né che la Madonna sistina si trovi a Dresda, pur avendo ogni diritto quelle istituzioni a rivendicarne il legittimo possesso" (in Davide Tedeschini, "Ridateci la Gioconda", Sott. - l'arte italiana e l'Europa unita. Edito da I libri del Borghese. Prefazione di Vittorio Bonacci, Pagine 136 - 2014 Roma). In poche parole l'autore ci chiede di ripensare al 'senso' di una collocazione, probabilmente legandola all'urbanistica e al volto delle nostre città e paesaggi ai qiali va riservata cura e rispetto e sottintendendone un'identità filologica ben precisa, quella dell'arte italiana.

Tedeschini, conclude cosí la sua trilogia: "Cosa possiamo fare, costruire, realizzare? Il Futurismo nel suo infrangere primati ed accettare i cambiamenti del tempo sará la risposta alle domande di tutti". Politicamente l'autore vede un'Italia e un'Europa meschine: -parole di grande impatto profetico in quanto scritte solo nel 2015- in quanto vede che non ci sino più differenze tra destra e sinistra, nè tra una frangia pro o contro l'euro -il dibattito politico navigando tra accenti xenofobi e complesso d'Edipo- ribadendo la clamorosa assenza di un progetto autorevole e di grande rilevanza, come le opere infrastrutturali del dopoguerra o la 'legge obiettivo' di berlusconiana memoria.