Damien Hirst : provette e superfetazione cinematografica

20.10.2025

Sembra un virus la finta archeologia di Damien Hirst (Bristol, 1965), che persiste in Italia già da qualche anno, sin dal 2000. Dopo aver letteralmente annichilito la Biennale di Venezia con la grossa personale alla galleria Pinault, tra busti classici e statue in marmo dei cartoon Disney (considerata una 'parodia pop realistica' da benevoli cronisti), Hirst è divenuto famoso per lo squalo fatto venire direttamente dall'Australia, collocato in una vasca lunga 6 metri di formaldeide,  battuto all'asta per 12 milioni di euro nel 2008, e infine ceduto a un museo londinese.  In foto: The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, (1991).

Per essere chiari, nelle volontà dell'autore ogni "reperto" esposto nella mostra 'Forgiving and forgetting', declinato in una grande varietà di materiali, vorrebbe essere rappresentato come emerso dal fondo dell'oceano, già a partire dalla serie esposta a Palazzo Grassi a Venezia nel 2017, nella mostra 'Colossal Treasures from the Wreck of the Unbelievable' (trad. Tesori colossali dal relitto dell'Incredibile).

In rassegna alla galleria Gagosian vi erano sculture e nuovi dipinti della serie 'Reference paintings' con macchie di colore e tocchi a foglia d'oro. Il concetto dunque è abbastanza banale, forse rivolto al grosso degli avventori: non si capiscono molto le intenzioni dell'artista nell'occupare le location storiche, a meno che non si tratti di voler sostenere che -avendo esposto in luoghi come la galleria Borghese- queste opere siano al pari dei capolavori dell'arte italiana e con ciò pretendere che 'valgano' qualcosa sul mercato.

Damien Hirst di Bristol, e negli anni '80 studia belle arti al Goldsmiths College di Londra, nel 1988 progetta e cura Freeze, una mostra collettiva divenuta il trampolino di lancio per un'intera generazione di ' Young british artist'.

Nel 1991 realizza l'iconico squalo in formaldeide The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living e successivamente For the Love of God (2007), calco in platino di un teschio tempestato di c.a 8000 diamanti. Opere che spesso vengono citate per il conflittuale rapporto con la realtà socioculturale e il sistema dell'arte sempre pronto ad accettare cose nuove per motivi economici. Non a caso le mostre sono state allestite in alcuni dei più prestigiosi musei pubblici, come la galleria Borghese di Roma.

Per quanto riguarda Hirst non si tratta  più del problema di chiedersi come sia possibile che lo squalo imbalsamato finisca nei libri di storia dell'arte ma è il momento di chiedersi che cosa significano le attuali opere, se abbiano senso, se si tratti di arte, se comporti qualcosa nella percezione del mondo dell'arte e se appunto, prenderne atto, non sia che una capitolazione dell'artista al mondo dell'economia. 

Sono almeno 5 anni che l'artista londinese insiste sull'attuale filone il cui genere é ormai chiaramente quello della 'fantarcheologia' , che può essere considerato un'appendice del genere Fantasy (di cui tutti conosciamo film come Il Signore degli anelli o Harry Potter). Quindi la sua attività sembrerebbe un collegamento chiaro con le produzioni cinematografiche di Hollywood, come quella di Indiana Jones, creazione di Spielberg e Lucas degli anni '80. 

A Venezia le statue di Hirst nella doppia location di palazzo Braschi e Punta della Dogana ricordavano Pirati dei Caraibi (2003) fortunata saga con Johnny Depp. L'ultima pellicola del genere é Last jungle cruise (2021) con Dwayne Johnson e Emily Blunt, pochi giorni fa nelle sale.

Le opere esposte a Londra alla galleria Gagosian ricordano probabilmente la Mummia (2017), film con Tom Cruise, altro blockbuster americano sullo spartito di una totale fantasia interpretativa dell'archeologia, con il nostro protagonista dapprima coinvolto in uno scavo in medio oriente dove rinviene un eccezionale sarcofago che lo sottopone a una serie di eventi in pieno stile action movie: incipit identico ad altre 3 o 4 pellicole degli ultimi anni. 

 L'arte di Hirst non cerca più di rappresentare una realtà socioculturale conflittuale (come forse faceva lo squalo), ma di simulare l'estetica e la narrazione dei blockbuster globali. Non è più "Pop Art" (che citava i media per critica o assimilazione), ma una superfetazione, ovvero una produzione accessoria che utilizza il linguaggio visivo più dominante e commercializzabile del momento.

Le opere di Damien Hirst esposte a Londra sono proprio a immagine di alcune sculture dell'antico Egitto e ricordano il Fantasy contaminato dall'Horror: genere che fa presa sul nostro inconscio più profondo.

Il fatto che l'umanità non abbia fatto passi da gigante, si va ad aggiungere ad una sorta di pessimismo sulla genesi dell'umanità rappresentato in 'crossover' (genere di passaggio) da Prometheus (2012) prequel della saga fanta horror di Alien (1979) in cui vengono introdotte scoperte archeologiche su altri pianeti, che hanno a che vedere con la creazione dell'uomo e la manipolazione genetica. 

Damien Hirst analogamente allo svizzero Hans Rudolf Giger (Coira, 5 febbraio 1940 – Zurigo, 12 maggio 2014), l'inventore del mostro di Alien, in vita poco considerato, (e arrivato al successo con le pellicole hollywoodiane), sembra soffermarsi sugli 'xenomorfi', ossia forme al genere umano antagoniste, paradigma dei tempi, nonché relitti di un problema edipico dell'umanità o memento mori. 

Abbiamo a che vedere con l'inseguimento del mondo cinematografico, come fece Warhol, con la Pop Art ad oggi divenuta, in tutte le sue declinazioni, una superfetazione dei personaggi disneyani.

Idee senza alcun dubbio ricche di prospettive commerciali, visibilità e indagini semiotiche che pur nella loro banalità allettano galleristi alla ricerca di prodotti commerciabili meno pretestuosi degli altri linguaggi dell'arte del Novecento, ora in crisi, e con esso forse anche scrittori, registi, produttori. Va dato atto che almeno questa decisione di Hirst -sebbene ammantata di una melensa morale sulla morte- ha senso rispetto allo squalo in formaldeide venduto a milioni di euro anni fa.

L'Italia, priva di un cinema competitivo, stenta ad avere un suo omologo anche se Cattelan con i suoi manichini iperrealistici (prodotti da uno staff, come le opere di Hirst), desunti da televisione e arte, tenti una risposta allo strapotere anglosassone, ma senza la stessa occupazione di location prestigiose come ha usato fare il londinese. 

La risposta alla domanda iniziale è che si, Hirst faccia arte contemporanea, ma cosa sia arte oggi è complicato dirlo: l'erede della grande arte del passato, del 'Giudizio Universale' di Michelangelo e dei grandi cicli di Giotto o delle tele di Caravaggio non sembra l'attuale arte contemporanea ma per grandezza, completezza e coinvolgimento, sembra quella che una volta si chiamava 'la settima arte'. 

Il cinema con i suoi generi, le sue saghe colossali protratte dagli anni '60, costringe i più grandi artisti a 'copiarne' i contenuti e non poterne fare a meno. Trarne le conseguenze è complicato e imbarazzante.


(in foto: Damien Hirst, The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living, 1991, materiali vari, formaldeide)