I graffiti del centro sociale tutelati ma le gallerie d'arte stanno chiudendo

C'è qualcosa di stridente nel provvedimento che tutela dei graffiti all'interno del centro sociale occupato di Milano mentre le gallerie d'arte chiudono. Non vorremmo che ci sia ancora la politica di mezzo.
Molte gallerie hanno chiuso in Italia, secondo alcuni hanno chiuso 'tutte' le gallerie. La politica ha esercitato e ancora esercita una concorrenza tangibile nei confronti di tutti quei musei e gallerie private che pagano le tasse immobiliari, della luce, le pulizie, la nettezza urbana, il personale, gli artisti. E' dell'ultima ora la notizia che a seguito dello sgombero del Leoncavallo (centro sociale occupato a Milano) vi sono dei dipinti murali che risultano sottoposti a tutela dalla Soprintendenza lombarda. E alle gallerie d'arte (e alle opere che negli anni sono state esposte al loro interno) che tipo di tutela viene riservata? Nessuna: le gallerie stanno chiudendo. Di eventuali opere non si ha più cognizione. Non mi riferisco alle grosse gallerie multinazionali che al giorno d'oggi imperversano nei palazzi storici dei capoluoghi italiani ma di quei circoli che dagli anni Settanta ad oggi svolgono il ruolo di gallerie.
Capitava di incontrarne alcune, fino a qualche anno fa, prestate per sottoscrizione a giovani studenti e appassionati, dilettanti e professionisti emergenti. Tra di loro anche artisti veri alla ricerca di una location dove poter allestire una mostra monografica, l'ambitissima mostra personale, con catalogo e pubblicità, senza alcun pregiudizio di sorta, a prescindere da investiture tramandate, amicizie politiche o ricchezza. Tra di loro professori e intellettuali dell'accademia di bb.aa. esclusi dal sistema clientelare cucito nelle maglie del tessuto sociale, dalle redazioni alle mostre biennali e quadriennali, passate alla storia per i loro allestimenti, pubblicate dagli stessi editori e studiate nella stessa facoltà: un circolo chiuso già ai suoi esordi in cui si coltivava l'occupazione delle istituzioni pubbliche. Ma c'era anche il mercato libero dell'arte, le vendite occasionali e l'affitto di sale espositive, le gallerie e centri culturali indipendenti, a Roma le 'cantine', piccole gallerie e circoli privati. Chiunque avesse voluto avrebbe potuto esporre fino a pochi anni fa in alcune di quelle gallerie sopravvissute all'embargo culturale: ora queste gallerie hanno in parte chiuso i battenti, come a Milano, a Roma o come a Parigi e in altre capitali europee.
Spazi per certi versi 'sacri', in quanto sottratti all'uso sia politico che al consumo esclusivamente monetario delle grandi case d'asta o delle mode che dall'industria del pensiero massificato che derivano da una società occidentale al tramonto, che rinnega la propria storia intellettuale.
La vera sfida per gli artisti, i curatori e il pubblico era navigare in questo sistema eterogeneo, cercando di comprendere il valore di un'opera d'arte al di là delle sue quotazioni di mercato o della sua provenienza politica, rispettando anche chi fa cultura fuori dai contesti come quelli del centro sociale occupato. Alle Soprintendenze che rappresentano lo Stato il compito di tutelare opere importanti a prescindere dalla loro provenienza politica. Se vengono vincolati i graffiti del Leoncavallo quali altre opere di quegli anni sono state meritevoli di attenzione?
Questo sistema sembra crollare se lo Stato va a tutelare solo alcuni o una parte di questo mondo complesso. Le gallerie chiudono mentre alcuni ricevono la tutela, addirittura il vincolo paesaggistico con una legge regionale. Forse c'è qualcosa che non va nel nostro modo di pensare e fare cultura. Forse manca il rispetto, forse la democrazia, forse la politica non funziona o funziona -come alcuni sospettano- solo per alcuni.