Il ruolo della donna nella letteratura e nelle arti dell’Ottocento

18.11.2025

Il ruolo della donna nel panorama culturale e artistico dell'Ottocento riflette la complessità di un'epoca attraversata da profondi mutamenti sociali e culturali.

La nascita della società borghese, con le sue contraddizioni tra progresso materiale e rigida moralità, trova nella figura femminile un campo privilegiato di rappresentazione, carico di tensioni, desideri repressi e nuovi ideali di libertà.

La donna diventa specchio e simbolo delle inquietudini dell'uomo moderno, nonché strumento di critica verso un ordine morale e sociale sempre più in crisi che già inizia nella letteratura inglese e sembra anticipare alcune tematiche con Jane Austen (Steventon, 1775 – Winchester, 1817).

A partire dal 1811 Austen scrive Ragione e sentimento e Orgoglio e pregiudizio, due tra i romanzi più fortunati, che narrano il rapporto problematico tra una o più identità individuali in fase di maturazione (signorine assennate, ragazzine sventate, timide ereditiere) e il mondo esterno: madri ciarliere, ufficiali affascinanti, governanti fedeli, qualche pericoloso 'villain' a caccia di dote, reverendi pedanti, padri di poco cervello, giovani innamorati e educati che, tra cene, balli e riunioni, partecipano alle infinite variazioni di questa nuova sensibilità.

Alla fine, in questo minuscolo mondo borghese, il matrimonio segnala l'avvenuta integrazione del personaggio nella società: questo il destino di Elisabeth in Orgoglio e pregiudizio (1813).

La lettera scarlatta (1850) di Nathaniel Hawthorne rappresenta invece con forza la ribellione della donna contro l'ipocrisia sociale e religiosa. Hester Prynne, costretta a portare il marchio dell'adulterio, rappresentato da una lettera di colore rosso cucita obbligatoriamente sulla giacca, trasforma la vergogna in orgoglio e la colpa in identità, aprendo la strada a un nuovo modello di femminilità consapevole e indipendente.

Nelle arti visive parigine, Gustave Courbet rivoluziona la rappresentazione femminile attraverso un realismo crudo e disincantato che è espressione dei tempi. Al posto delle idealizzazioni mitologiche o storiche, opere come Les Demoiselles des bords de la Seine (1856) mostrano due donne distese in un ozio languido sulle rive del fiume. La loro posa disinvolta, gli abiti sontuosi ma stropicciati e l'aria assorta alludono a una condizione ambigua, che riflette l'ozio e il disagio di una borghesia emergente, viziata e superficiale, pronta a sfidare con la propria sensualità e decadenza l'ordine etico tradizionale.

L'opera lirica ha uno straordinario sviluppo nell'Ottocento nel diffondere anche con immagini i contenuti della letteratura romantica.

A inizio secolo spicca la Norma (1830) di Bellini che mostra una donna fortemente autonoma e tragica, che coniuga amore, dovere e ribellione contro le convenzioni sociali, anticipando alcune delle caratteristiche delle eroine successive come Aida o Tosca.

Norma è una sacerdotessa gallica, potente e rispettata, ma travolta dai sentimenti personali: l'amore proibito per Pollione e il senso del dovere verso il suo popolo la pongono in una condizione di conflitto estremo. La sua tragedia nasce dall'incapacità di conciliare passioni e responsabilità, e dalla scelta di agire secondo principi morali e affettivi propri, piuttosto che secondo imposizioni sociali.

Rispetto alle figure neoclassiche dipinte da Jacques-Louis David, in cui la donna è simbolo di virtù astratta, Norma è un individuo complesso e autonomo, dotato di forza morale e capacità decisionale, anche se nella forma scenografica è l'espressione di quella estetica che si vede dai quadri come Le Sabine (1799), opera che segna il culmine della visione neoclassica del femminile. Qui la figura di Erzia, che si interpone tra i Romani e i Sabini per fermare la guerra, incarna la donna come simbolo di virtù civica e di armonia morale, mediatrice tra ragione e passione, tra pubblico e privato. La nudità, pur presente, è sublimata dal rigore formale e dall'idealizzazione del corpo, che rimanda a un'idea di bellezza assoluta e atemporale.

In David, la donna non è un individuo, ma allegoria della pace e della riconciliazione: un modello ancora inscritto nei valori razionali e morali dell'Illuminismo. Infatti vi è una sorta di spostamento dalla idealizzazione classica che aveva i suoi contenuti nelle gesta di antichi eroi, agli ideali della rivoluzione illuminista. Questa visione, ovviamente, entra progressivamente in crisi con l'Ottocento romantico e realistico.

Nella letteratura e nel melodramma, la figura femminile diventa il fulcro della riflessione sui sentimenti e sulla morale. Personaggi come Marguerite Gautier de La signora delle camelie (1848) di Alexandre Dumas o Mimì de La Bohème di Puccini (ispirata al romanzo Scene della vite de bohème del 1851 di Henri Murger) incarnano l'archetipo della donna fragile, consumata dalla malattia e dal giudizio sociale, ma nobilitata da una profonda umanità. Queste eroine, emarginate e al tempo stesso idealizzate, rappresentano l'impossibilità di conciliare amore e moralità borghese.

In Delacroix, la sensualità e il dinamismo prendono il posto dell'armonia classica: figure come la Libertà che guida il popolo (1830) trasformano la donna da simbolo di virtù in icona politica e passionale, travolta dall'energia della storia. Hugo nei Miserabili (1862), si ispirerà proprio ad alcune figure del grande quadro di Delacroix al centro del quale vi è proprio una donna, allegoria della Libertà, ma dalle sembianze popolari.

Con Courbet, il passaggio è ancor più radicale: la donna perde ogni idealizzazione per diventare presenza reale, corporea, terrena, come nel Les Demoiselles des bords de la Seine. La figura femminile non è più mediatrice di valori universali, ma specchio della società borghese e dei suoi desideri repressi.

Con la Carmen (1877) di Bizet, tratta dalla novella omonima di Prosper Mérimée del 1845, il modello cambia radicalmente: la protagonista è una donna libera, sensuale e ribelle, che vive seguendo i propri istinti e rifiuta qualsiasi forma di possesso. La sua tragica fine non è una punizione morale, quanto testimonianza della paura maschile di fronte alla libertà femminile: anche Carmen viene assassinata dal suo ex compagno. Carmen incarna così il desiderio di autodeterminazione, preludio ai dibattiti novecenteschi sull'identità e sull'emancipazione della donna ma soprattutto rappresenta il fallimento dell'amore narcisistico -qui inteso come simbiotico- che verrà messo in luce dalla psicologia freudiana nel secolo successivo.

In questa stessa direzione si muove Édouard Manet, la cui Olympia (1863) rappresenta una donna dalle fattezze minute consapevole della propria sensualità e sicura della propria posizione sociale. Lo scandalo suscitato dall'opera non risiede solo nella nudità, ma nel fatto che la donna, per la prima volta, non è più oggetto passivo dello sguardo maschile: guarda lo spettatore con sfida, rivendicando la propria autonomia e consapevolezza. In tal modo, Manet infrange il velo dell'ipocrisia borghese, che accettava la prostituzione purché restasse invisibile.

Sul finire del secolo, la letteratura si apre sempre più all'indagine psicologica: Fosca (1869) dello scapigliato Iginio Ugo Tarchetti, descrive l'amore come condizione patologica, segnata da ossessioni e ambivalenze, anticipando temi che verranno esplorati dalla psicoanalisi. L'amore diventa malattia, e la donna, fragile o eccessiva, è il sintomo di un disagio più profondo, quello dell'animo borghese e della sua crisi di valori.

Sul finire del secolo, infine, la figura femminile si carica di significati nuovi e contraddittori: nelle opere di artisti come Klimt, Von Stuck o Moreau, lei diventa simbolo di mistero, seduzione e morte, incarnazione della "femme fatale" o della "donna psicologica" tipica del Decadentismo.

È la fase in cui il corpo femminile non rappresenta più la verità morale dell'uomo, ma la sua crisi interiore e la dissoluzione dei valori tradizionali. In questo percorso, dalla Sabina di David alla Giuditta di Klimt, si consuma la trasformazione della donna da figura ideale e salvifica a specchio inquietante dell'inconscio maschile e della modernità in crisi.

La Tosca (1887) di Victorien Sardou messa in scena da Puccini nel 1900, rappresenta una tappa fondamentale di questa evoluzione. Non più fragile o idealizzata, Tosca è una figura tragica e passionale, dominata da sentimenti estremi: amore, gelosia, fede e disperazione. La sua forza drammatica e la sua dignità di fronte al potere e alla violenza maschile ne fanno un simbolo della donna moderna, capace di decidere il proprio destino, anche nella morte.

Nell'opera pittorica di Francesco Hayez, interprete raffinato del romanticismo patriottico e sentimentale, la figura femminile assume un duplice significato: da un lato, rappresenta la bellezza e la sensualità, come ne Il bacio (1859), manifesto dell'amore idealizzato e patriottico che sembra alludere a un momento dell'opera lirica risorgimentale. Dall'altro, rivela una profonda malinconia e una tensione interiore che alludono a un desiderio di libertà personale e politica.

La donna di Hayez, pur inserita in contesti romantici o storici, porta con sé un'intensità emotiva nuova, che la affranca dal ruolo di semplice musa o allegoria.

Attraverso queste opere, la figura femminile diventa progressivamente metafora della verità negata e della crisi dell'uomo ottocentesco. La donna, nel suo corpo e nella sua psiche, diviene il terreno su cui si proiettano le nevrosi, le repressioni e le paure della società borghese.

Anche nella Traviata (1853), ispirata alla già citata Signora delle camelie, Verdi esprime con straordinaria intensità questo conflitto tra sentimento e morale, tra desiderio e malattia. La protagonista Violetta è l'immagine perfetta dell'isteria e della fragilità di un'epoca che teme la passione femminile perché ne intuisce la potenza liberatrice.

Il Risorgimento si respira nell'opera dell'Aida (1871) di Verdi, eroina tragica e donna innamorata, divisa tra il dovere verso la patria e il sentimento personale. Diversamente da Violetta ne La Traviata, la sua tragedia non nasce dalla fragilità sociale o dalla malattia, ma dalla necessità di conciliare amore, lealtà e responsabilità in un contesto politico e culturale oppressivo. La sua forza interiore, la dignità e il senso del sacrificio la rendono simbolo di una donna consapevole e autonoma, capace di decidere del proprio destino anche di fronte alla morte.

In conclusione, l'Ottocento segna il passaggio dalla donna-angelo o peccatrice alla donna-persona, protagonista della propria storia e specchio delle contraddizioni del suo tempo.

Nell'arte, nella musica e nella letteratura, essa diventa non solo oggetto di rappresentazione, ma soggetto di pensiero e di crisi, anticipando le riflessioni psicologiche e sociali che animeranno il secolo successivo: nella già citata La Bohème di Puccini non vi è solo la morte di una donna fragile, ma il fallimento al contempo di Rodolfo, il compagno poeta come a significare l'impossibilitá dell'artista di ottenere il riconoscimento del proprio ruolo sociale attraverso una relazione borghese.