Evocazioni al buio: reperti e archivi in Boltanski, Kiefer e Kounellis

Anselm Kiefer (Donaueschingen, Baden-Württemberg, 1945) dipinge le sue tele di grandi dimensioni, con densi impasti di colore dai toni prevalentemente grigi e bruni. I suoi dipinti iniziali, raffiguranti soprattutto spazi architettonici vuoti, deserti e paesaggi devastati dal fuoco o da un evento catastrofico, sono evocazioni di allusioni alle tragiche vicende storiche della Germania (il Nazismo, l'Olocausto) e alla sua tradizione culturale di origini ebraiche.
Accanto alla pittura materica e alle allusioni storiche, che ne caratterizzano l'opera, egli è noto successivamente anche per le sue imponenti installazioni ambientali che trasformano lo spazio espositivo in un luogo di profonda riflessione cosmica e storica.
Un esempio emblematico del suo lavoro in Italia è l'installazione I Sette Palazzi Celesti (Die sieben Himmelspaläste, 2004) presso l'Hangar Bicocca, (uno dei più importanti spazi dedicati all'arte contemporanea a Milano), costituita da sette torri monumentali in cemento armato, alte tra i 14 e i 18 metri, realizzate con blocchi di container navali sovrapposti e apparentemente in bilico.
Queste strutture richiamano i Pālazzi (o Hekhalot), le tappe dei percorsi iniziatici della tradizione ebraica cabalistica e sono simboli della ricerca spirituale e dell'ascesa metafisica dell'uomo. La loro imponenza, che si staglia nell'ampio spazio scuro, riflettono l'uso tipico di Kiefer di materiali pesanti per affrontare temi di memoria e distruzione, trasformando lo spazio museale in una vera e propria cattedrale laica e confermando il museo come riferimento di un contesto ambientale e simbolico dilatato.
Così come Kiefer è sostanzialmente un pittore, che contestualizza in maniera riuscita la tematica del disastro, con architetture monumentali su sfondi scuri e privi di precise localizzazioni spazio temporali, come a creare una analogia tra la distruzione collettiva e la propria condizione di crisi, Christian Boltanski (Parigi, 1944 – Parigi, 2021) ha coltivato con ossessiva assiduità il tema della memoria, privata e collettiva: i suoi lavori danno forma a una sorta di mitologia personale evocatrice, al contempo dei grandi drammi della storia, come la Shoah, in maniera altrettanto ermetica di quella di Kiefer.
Dalla fine degli anni Sessanta la sua ricerca, in bilico tra documenti e concettualismo, ha privilegiato l'indagine evocativa dell'archivio, attraverso le raccolte di effetti personali legati all'infanzia, in vecchie scatole da biscotti o Vetrine (1969-70), che aprono al versante concettuale della narrazione autobiografica, anticipando così la didattica della 'Narrative Inquiry' di F. Michael Connelly e D. Jean Clandinin, Narrative Inquiry: Experience and Story in Qualitative Research (2000), un metodo didattico che fa emergere vissuti ma che vive di metafore e per analogie: l'obiettivo è andare oltre i dati grezzi per catturare la qualità e il significato emotivo dell'esperienza umana, una dimensione che, per sua natura, vive di frammenti e narrazioni metaforiche.
Invece, i Teatrini delle Ombre (1984) sono realizzati illuminando fragili figurine e sagome di fil di ferro, che con le ombre proiettate sui muri, evocano il Ballo degli impiccati (1870) di Rimbaud, poesia che descrive una danza grottesca e ironica di scheletri appesi a una forca o le opere di Goya, come il Sabba delle streghe (18 20), tracciando così un parallelismo tra la denuncia di Goya del fanatismo, l'ignoranza e l'assurdità della superstizione popolare della Spagna di fine Settecento e la nostra modernità (Sebaste, Beppe, "Il dominio delle luci genera ombre", in L'Unità, Roma, 23 marzo 2007).
Boltanski prosegue con I Monumenti (dal 1986) e le Riserve (come la Riserva di svizzeri morti, 1991), sorta di altari fatti con ritratti fotografici illuminati da fioche luci, sacrari alla memoria che sfidano l'oblio del nulla e della morte.
Nel 2007 realizza l'installazione-environment documento di una strage: si tratta dell'aereo caduto il 27 giugno del 1980 sui cieli di Ustica, poi ripescato e a conclusione delle indagini, ricostruito e concesso al Museo della Memoria di Bologna, per ricordare la vicenda avvolta nel mistero.
Attorno al relitto dell'aereo Dc9 Itavia, vengono collocate una serie di lampadine, per l'esattezza dello stesso numero di vittime del disastro, 81, che si accendono e spengono a intermittenza di respiro, con specchi neri dietro al quali si sente un sussurro, e altrettante scatole contenenti effetti personali, in ambientazione buia (così come avviene con i Sette palazzi di Kiefer).
Altra opera è Personnes (1980), in cui 'indumenti' divengono mucchi di stracci che evocano i campi di sterminio, anche se tale 'topos' era già stato percorso da Beuys, Kounellis e in precedenza da Magritte e De Chirico, che dipinge i Mobili nella valle, effetti personali decontestualizzati e rappresentati pittoricamente su strada o su un anonimo prato, o ai piedi di una montagna.
Anche Jannis Kounellis (1936-2015), originario della corrente italiana dell'Arte povera, ma originariamente impegnato anche nel Concettuale, si sofferma alla fine del secolo sul tema del frammento e del tragico storico, un'eredità che attinge tanto dalla classicità greca, sua terra d'origine, quanto dal dramma della storia europea del XX secolo.
Le sue opere si concentrano sulla potenza evocativa di materiali pesanti e archetipici: egli usa grandi lastre di ferro grezzo e pezzi di carbone, simbolo dell'era industriale e del lavoro, sacchi di iuta, pietre e fuliggine, come traccia di un evento, una ferita.
Le installazioni diventano scenografie di un teatro muto, ma estremamente eloquente, dove l'acciaio e il piombo formano il fondale per esporre reperti decontestualizzati: scarpe logore, che raccontano l'assenza e il viaggio, o sculture classiche frammentate, disposte su strutture metalliche come reperti di una civiltà in rovina, vagoni e binari che evocano i treni delle deportazioni o il migrare europeo durante e dopo la Seconda guerra mondiale.
Questo periodo è caratterizzato da una spinta alla monumentalità della catastrofe, dove le sue opere assumono dimensioni imponenti, come muri di sacchi o installazioni che inghiottono intere stanze, evocando un senso di oppressione, il peso della memoria collettiva e la brutalità della Storia.
La critica al consumismo, nata con l'Arte Povera, si trasforma in riflessione sulla condizione umana e sul disincanto storico: atti a riportare in superficie i traumi e le fatiche, spesso attraverso l'uso della lanterna o della lampada a olio, un rimando al fuoco, alla spiritualità e all'antica illuminazione, che proietta ombre lunghe e inquietanti come nei Teatrini delle ombre di Boltanski, aggiungendo però un elemento di sacralità e rito alla crudezza dei materiali.
In questo modo, l'artista termina il secolo con una meditazione solenne e ineludibile sulla tragica dignità dell'esistenza umana di fronte alla monumentalità dei suoi stessi fallimenti storici, così come Kiefer e Boltanski.